Se tu che oggi boicotti Grom sei lo stesso che rivoleva il Winner Taco

2 Ott 2015 | Uncategorized

Non so voi, ma io ho dei ricordi ben definiti delle mie coppette di gelato da bambina. Vedendo le reazioni di fronte alla exit di Grom  (un successo frutto non solo, cari rosiconi, di un marketing ben fatto, ma di un progetto d’impresa studiato nei minimi dettagli) mi è venuto il dubbio che forse quei banchi frigo ve li siete dimenticati.

Dai, che lo sappiamo che in estate al mare una bella coppetta di Puffo non ve la levava nessuno, così blu che ci colorava perfino la lingua per una bella mezz’ora almeno. E la menta era sempre e comunque verde, e c’era il gelato rosa alla Big Babol. Erano gli anni 90,  e altro che pistacchio di Bronte, cioccolato fondente senza zucchero, pezzi di frutta vera… E c’era, e probabilmente c’è ancora, scritto “gelato artigianale” sapete? E c’erano le vasche, i pozzetti li aveva visti solo mia mamma da bambina.

Sono di parte, è vero, anche se il punto vendita Grom più vicino è a 50 km: ho semplicemente un amore sconfinato per Grom, per la sua crema e il caramello al sale. Sulla mia scrivania è rimasto per anni un piccolo ritaglio di giornale dove si parlava di Grom e di Guido Martinetti agli esordi. Ero stata folgorata da quell’idea così semplice, ma proposta in un modo splendido. Adoravo quel puntare alla qualità e all’autenticità. Qualche anno dopo, ma me lo ricordo come se fosse ieri, ero in piedi davanti al frigo, in pigiama con un bicchiere d’acqua in mano e lui, Guido Martinetti, era ospite a Matrix. Con il suo carisma, il suo ottimismo, la sua caparbietà. E ho pensato: “Io lo devo intervistare”. E ci sono riuscita. Conservo un ricordo splendido di quella serata in cui mi sono sentita definire tedesca perché mi ero preparata a livelli ancora più maniacali del solito. Ho conosciuto una persona capace, che ha realizzato i suoi sogni e che si è spezzato la schiena per farlo, con sacrifici e rinunce. Un imprenditore vero, con una polo sdrucita e un’ enorme ironia.

Entrate in una gelateria oggi e troverete ovunque insegne che decantano il bio, i prodotti naturali, no a coloranti e conservanti e si ai coni glutenfree. Pozzetti, cucchiaini biodegradabili, coppete di un solo colore e brandizzate. E perché? Perché Grom, piaccia o no, ha cambiato il mercato e l’ha migliorato, anzi, l’ha salvato. Non ho mai visto aprire così tante gelaterie come negli ultimi 3 anni, un’invasione. Ha insegnato a noi, figli del gelato puffo, il gusto dell’albicocca e del pistacchio. E mi ha regalato la possibilità di scelta, innescando una corsa all’essere meglio di Grom, tanto che ora potete dire che “la crema che fa mio zio sotto casa è più buona”.

E oggi, voi che mai avete pensato di rinunciare al dado Knorr, al soffice Coccolino, a lavarvi i denti con Mentadent, che avete contribuito a creare il buco dell’ozono con un’adolescenza trascorsa in una nuvola di Axe e Impulse, che avete sempre sostenuto che Lipton è buono qui e pure qui, vi alzate a difendere il gelato che non avete mai fatto nella vostra gelatiera, l’unico e vero, e gridate: “Io il gelato di Grom non lo mangerò mai più”, avvolti nella bandiera del vero consumatore critico, che riconosce se la frutta nella sua pallina fragola in dicembre è bio o no. E sti cazzi!

Ve lo siete meritato il ritorno con relativa delusione del Winner Taco (che è Unilever, lo sapevi?).